Quando Nino Sindoni mi ha proposto di realizzare un ciclo di opere dedicate all’altopiano di Asiago, ho provato entusiasmo venato di titubanza. Nino conosce profondamente il suo altopiano e lo ama. Io sono uomo di “pianura”, poco avvezzo alle altitudini. Le pianure ammantate di bianco che ho dipinto fino ad oggi raccontano bassi orizzonti e distese di terra a perdita d’occhio; dove il riflesso della neve al sole, presto, si fa grigio e “annacquato”. Le nebbie e la costante foschia “impastano” il candore immacolato. Come sempre, in pianura, gli inverni abbassano i contrasti, spengono i colori e costringono al minimo cromatico. La neve delle montagne è un altro mondo. E’ tersa, pulita e cristallina. Accecante luce spietata. Tutto si tiene e nulla si sfuoca. Le tinte si accendono violente, gioiose, ma crudeli; sferzate da un’aria pungente capace di “detergere” ogni elemento. La profondità di campo sfonda il piano all’infinito. L’altopiano è molte cose, ma questa accesa pulizia dei contorni mi pareva lo distinguesse fortemente dalla malinconica “melma” dei miei inverni in pianura. Questa nitida percezione del visibile è la caratteristica più adatta a divenire forma pittorica. E ogni nuovo soggetto crea problemi di rappresentazione. Ho dovuto rivedere le mie certezze e tararle su parametri differenti. Come postulato, ho mantenuto il “vuoto” preponderante. Bianco spazio che isola e collega gli oggetti, dove gli elementi fluttuano su traiettorie geometriche. A questo postulato ho innestato due percorsi d’indagine: l’uno, minimale/tonale. L’altro, segnico/cromatico, dove piene campiture di colore occupano larghe porzioni di tela. Ho tentato visioni, non vedute. Spesso mi sono chiesto cosa togliere piuttosto che mettere. Ho voluto lasciare evidente ogni movimento della mano senza ripensamenti, perché è lì il piacere che mi dà la pittura: la sua evidenza, la sua sincerità. Ho cercato il gesto che si fa segno e il segno che si fa colore. Il viaggio in altopiano mi ha insegnato molte cose e tuttavia, se è vero che nelle cose scopriamo noi stessi, allora ogni visione innevata è ancora e sempre un autoritratto.
Nicola Nannini